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A COLLOQUIO CON MARGHERITA BONIVER

ROMA - “L’espressione ‘esportare la democrazia’ è provocatoria. Il concetto di ‘esportazione’, infatti, ha una connotazione prettamente mercantile e stride con quello, tutto politico, di ‘democrazia’. Chi parla, infatti, di ‘esportazione’ della democrazia lo fa solitamente con intento polemico. È come se si volesse dire ‘la democrazia non si può esportare come un qualsiasi prodotto alimentare’. Ma si sottintende: ‘la democrazia non è un bene assoluto e neutrale e non tutte le culture vi si adattano’. Questo pregiudizio deriva a sua volta da una sorta di sedimentazione spesso inconscia dell’idea marxista-leninista del carattere sovrastrutturale, ‘borghese’ e illusorio della democrazia stessa. Non starò certo qui a contestare questo paradigma. Ci sono intere pareti di volumi di letteratura liberalsocialista utili a ciò. Il punto è un altro. Questo schema risulta politicamente inaccettabile dopo l’11 settembre”.

E’ quanto afferma Margherita Boniver, già sottosegretario agli Affari Esteri, nel suo libro “Esportare la democrazia L’impegno italiano per l’Afghanistan” (pag. 118, 12 euro), che comprende anche un’Appendice: “Cronologia dell’Afghanistan dal 1873 a oggi”. Il ricavato del libro verrà interamente versato al Dott. Alberto Cairo del Comitato internazionale Croce Rossa a Kabul.

Onorevole Boniver gli aiuti umanitari che vengono inviati in Iraq o in Afghanistan, da associazioni italiane o anche da semplici cittadini, sono veramente utili?
“Non c’è dubbio alcuno, né potrebbe essercene. Se non ci fosse stato un profondo ed esteso impegno verso le operazioni umanitarie sia attraverso le grandi agenzie dell’Onu, se vogliamo parlare solo del territorio afghano, che attraverso le azioni bilaterali o multilaterali, questo è dimostrato dal fatto che innanzitutto in Afghanistan sono rientrati oltre 2 milioni e mezzo di profughi che avevano passato oltre 20 anni nei campi di raduno in Pakistan, in Iran, o in un altro Stato. Questo rientro è avvenuto grazie all’impegno di grandi agenzie dell’Onu con il contributo fondamentale economico dell’Italia e di tanti altri Paesi.
In secondo luogo non potrò mai dimenticare l’ultima visita che ho fatto in Afghanistan, dove sono stata in una cooperativa di donne finanziata dalla cooperazione italiana, le quali, la maggior parte analfabete, avevano messo insieme tre attività. La prima quella di aggiustare i cellulari, che a Kabul sono decine di migliaia, il cellulare lo hanno tutti non solo i diplomatici, e quindi aggiustano in modo fantastico. L’altra è quella di intagliare lapislazzuli, che prima nessuna faceva perché venivano esportati in Pakistan dove venivano tagliati e invece adesso viene fatto in Afghanistan. La terza è la trasformazione di una lampada a petrolio, in lampada che si ricarica con batteria solare. Sono tre progetti organizzati, fatti e svolti da circa cento donne a Kabul, che dimostrano di essere formidabili e di aver fatto dei grandissimi passi avanti”.

Quale messaggio vuole inviare alla popolazione afghana la quale crede che nel più breve tempo possibile possa arrivare la democrazia?
Di continuare a comportarsi come si sono comportati fino ad adesso, votando, partecipando, scegliendo, dibattendo, appassionandosi al grande gioco del risico democratico. Chi ha creduto nel sogno democratico sono stati gli stessi afgani, sono stati i 3 milioni di profughi che sono ritornati in Patria subito dopo l’insediamento del governo provvisorio di Karzai. L’impegno italiano in quel paese è stato da subito formidabile tramite aiuti e cooperazione e questo pone l’Italia in una posizione di tutto rispetto".

Quale consiglio si sente di dare alle donne intenzionate ad intraprendere la vita politica?
“Il consiglio che rivolgo alle donne che vogliono intraprendere l’attività politica è che se faranno gruppo e massa critica otterranno molto di più, piuttosto che procedere come singoli individui. Inoltre dico di chiamarci se pensano che possiamo fare qualcosa di utile insieme, perché corriamo subito”.

Clara Salpietro