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oltre l'arte
2010

Beni Culturali - Mostre
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Sommario





Roma, MAXXI


www.fondazionemaxxi.it

www.macro.roma.museum

www.centrepompidou-metz.fr/

I NUOVI CONTENITORI DELL’ARTE: TRA BUNKER E PADIGLIONI

Alla fine di maggio Roma ha visto completarsi due importanti strutture per l’arte contemporanea, due spazi concepiti, soprattutto architettonicamente, per una diversificata proposta espositiva.
Il MAXXI dovrebbe avere una valenza nazionale per essere vetrina internazionale, mentre per il MACRO sarebbe utile un’introspezione sulla presenza artistica romana e laziale, per spostare il baricentro della contemporaneità dal nord padano all’Italia centrale.
Due augurabili diverse vocazioni per far conoscere la contemporaneità dell’arte, sottolineati da due interpretazioni architettoniche degli spazi espositivi nell’esterno e nell’interno.
L’anglo-irachena Zaha Hadid ha pensato al MAXXI come un “bunker” per l’arte, un blocco sinuoso di cemento che frattura la linearità del quartiere Flaminio, imponendosi ben visibile al posto delle caserme obsolete. Un contenitore per proteggere l’arte dagli sguardi indiscreti, sebbene nei mesi precedenti all’apertura ufficiale siano stati visibili dalla strada alcune proposte installative.
Un “bunker” come rifugio da possibili conflitti che echeggia l’idea di spazio della cultura così bellicosamente espresso nell’architettura del National Film Theatre londinese. È comprensibile trasformare un bunker in spazio espositivo, mentre manca di logica progettare un spazio per la cultura come bunker.
Un museo-scultura fine a se stesso che fluttua sul piazzale che potrebbe collegare viale Guido Reni con via Masaccio. Un volume fluttuante in equilibrio tra una creazione di Moebius o di Piranesi, magari riecheggiando l’atmosfera della nave Arcadia del cartoon dedicato a Capitan Harlock. Uno spazio che non dovrebbe limitare la sua apertura alla città a due vetrate, una molto simile ad un periscopio, evitando di trovarsi chiuso su se stesso.
Il lato positivo di una visione architettonica così interiorizzata è la propensione all’autosufficienza che si esprime con la prevista installazione di celle fotovoltaiche per abbracciare la green economy e offrire un punto di rifornimento per mezzi di trasporto elettrici.
Lontano dall’influenza piranesiana, senza gli ambienti disorientanti alla Escher, è stato offerto, in maggio, un assaggio di pochi giorni di come sarà la nuova solare ala del Macro allargato, progettato dalla cinquantenne francese Odile Decq che gioca alla capricciosa adolescente dark, con padiglioni e giardini zen abbozzati, oltre ad una terrazza di cristallo sdrucciolevole, al quale sarebbe consigliabile dare almeno una parziale copertura per un utilizzo anche nei momenti uggiosi. Non solo un ampliamento dello spazio espositivo, ma anche per le attività culturali e ricreative, con la realizzazione di un auditorium, oltre al trasferimento della libreria e del bar ristorante.
Il MAXXI è così differente nel suo essere una “piastra” sormontata da una “stecca” che rimane legato a questa Terra sono dagli irreali colonnine, mentre il Macro è tutta una vetrata che aspetta l’autunno per la sua apertura definitiva, ma inizialmente entrambi promettevano un maggior rispetto per gli edifici preesistenti che siano caserme o ex-fabbriche della birra. Non è accaduto se non con simboliche presenze. La presenza al Flaminio di uno spazio espositivo così alla moda rende scontenti i residenti per il rumore e la liscia di bottiglia abbandonate dai frequentatori. Mentre il Macro disturba per il rumore dei sfiatatoi.
Due architetture per l’arte contemporanea, due enormi carrozzoni, uno più imponente dell’altro, depositari di ambizioni che potrebbero svanire, schiacciate da costi troppo onerosi per dei giocattoli, come potrebbe succedere con le aspirazioni del nuovo Centre Pompidou di Metz. Una vera e propria cattedrale nei sobborghi della città francese della Lorena, tra l'Alsazia e la terra dello champagne, adiacente alla stazione dell'alta velocità, con una vetrata a “periscopio” che ricorda quella del MAXXI, ma gli architetti Shigeru Ban e Jean de Gastines che l’hanno progettata, non hanno realizzato un edificio cupo, ma un volume fluido e luminoso, con una naturale climatizzazione, per una migliore conservazione le opere esposte.

Gianleonardo Latini

nfo@ex-art.it