MEDITERRANEA
INDEX
da LaStampa.it
del 4/7/2007 (7:54)
http://www.lastampa.it/
|
INTERVISTA
"Abu Mazen stai attento
sei un burattino Usa"
Ismail Haniyeh, il premier di Hamas
«Vogliamo una soluzione pacifica del conflitto con Fatah ma siamo pronti
a usare tutta la forza che sarà necessaria»
FRANCESCA PACI
INVIATA A GAZA
Il primo messaggio è per il presidente dell’Autorità nazionale
palestinese Abu Mazen: «Attenzione all’abbraccio mortale con gli
americani». Il secondo per i rapitori del reporter della Bbc, il
potente clan dei Dormush: «Vogliamo una soluzione pacifica ma siamo
pronti a usare tutta la forza necessaria». Il terzo per Romano Prodi
che il 9 luglio arriverà in Medio Oriente: «Lo aspettiamo a Gaza se
vorrà».
Il premier di Hamas Ismail Hanyieh, doppio petto grigio e camicia
bianca, apre a La Stampa le porte del quartier generale di Hamas per la
prima intervista ufficiale dopo la guerra civile di Gaza. Dalla finestra
del suo ufficio, al terzo piano di un edificio modesto, si sentono gli
impiegati che protestano per gli stipendi congelati da mesi.
Abu Mazen ha nominato un nuovo governo sostituendola con Salem Fayed.
Come si sente?
«Mi sento il primo ministro palestinese. Hamas ha la maggioranza
parlamentare e io sono stato votato. Secondo il nostro sistema
costituzionale resto legittimamente in carica fino alla formazione di un
nuovo esecutivo regolarmente eletto. Le nostre leggi non prevedono
governi d’emergenza, al massimo casi d’emergenza. Questo è un caso
d’emergenza? Bene: sono qui, pronto a collaborare per trovare una
soluzione».
Intanto Hamas è chiuso a Gaza, tagliato fuori dal mondo. La prossima
settimana Prodi incontrerà i leader politici israeliani e palestinesi a
Gerusalemme e a Ramallah. Lei non è stato invitato.
«Personalmente ho rapporti amichevoli con Prodi. L’ho chiamato due volte
per congratularmi con lui: la prima quando è stato eletto, la seconda
quando l’Italia ha vinto il mondiale di calcio. Contiamo molto
sull’iniziativa italiana, manteniamo ottime relazioni con il vostro
Paese».
Prodi andrà a Ramallah?
Breve risata. «Faccia pure, con comodo. Ma sappia che se vorrà è
benvenuto a Gaza».
Che rapporti ha con Abu Mazen?
«Gira voce che l’avrei definito un debole. Non è vero. Siamo
politicamente diversi, ma Hamas rispetta il sistema democratico e gli
alleati. Dopo quanto è accaduto a Gaza ci aspettiamo che Abu Mazen
reagisca in modo razionale e non emotivo, che non ascolti i cattivi
consiglieri e capisca che l’abbraccio con l’amministrazione Usa è
mortale. Le nostre priorità sono un governo di unità nazionale basato
sugli accordi della Mecca e apparati di sicurezza a tutela di tutto il
popolo palestinese. Inutile parlare di elezioni, non c’è una buona
atmosfera per votare».
Lei invita l’Anp al dialogo ma fino a due settimane Hamas e Fatah
hanno combattuto una guerra civile violentissima. Cosa è cambiato?
«A Gaza è tornato l’ordine. C’è qualche problema in Cisgiordania, ma non
siamo noi a crearlo. È Fatah. La storia è piena di movimenti di
resistenza fratelli che a un certo punto si scontrano per questioni
interne. È accaduto anche in Libano. Certo, è negativo per l’immagine
dei palestinesi. Ma crediamo nel dialogo».
È vero che avete una Executive Force in sonno in Cisgiordania, pronta
a combattere gli avversari come a Gaza?
«Quello che accade in questi giorni in Cisgiordania è vergognoso. Gli
uomini di Fatah stanno lavorando contro Hamas seminando terrore. Ma non
troveranno niente contro di noi. Così facendo dimostrano solo quel che
sono. Lunedì hanno arrestano 9 membri di Hamas regolarmente eletti e di
sicuro li terranno in carcere per anni. Noi a Gaza non arrestiamo i loro
rappresentanti, non occupiamo i loro uffici. Hamas ha vinto le elezioni
e anzichè distruggere Fatah si occupa di risolvere i problemi di Gaza,
la criminalità, la sicurezza, l’embargo».
Sembra che la guerra civile di Gaza sia una leggenda. Chi erano
quelli che solo ieri scovavano gli uomini di Fatah casa per casa?
«A Gaza non c’è stata guerra civile né colpo di Stato. Abbiamo
combattuto per la sicurezza, non per ragioni politiche. Dopo 15 mesi di
anarchia, per la corruzione di Fatah, siamo arrivati alla resa dei
conti. Le devastazioni sono state causate da alcuni comandanti di Fatah
che abbandonando le postazioni hanno lasciato il campo alla furia cieca
della gente. La calma oggi a Gaza dimostra che il conflitto è finito e i
fratelli di Fatah sono liberi di uscire e lavorare, non perché Hamas
gliene faccia dono ma perché è loro diritto. Guardate invece come ci
trattano loro in Cisgiordania...».
Abu Mazen ha chiesto l’intervento di una forza internazionale.
«Sbaglia. Vuole risolvere i problemi palestinesi aprendo alle ingerenze
esterne. Noi lavoriamo dall’interno».
Ma Gaza dipende quasi interamente da Israele, la benzina, gli
alimenti, l’acqua.
«Sia chiaro: non cambieremo la nostra politica per fame. Che Israele ci
riconosca e poi dialogheremo».
Come pagherete gli stipendi?
«Discriminando tra palestinesi di Cisgiordania e Gaza Abu Mazen porterà
alla vera separazione tra noi. Hamas pagherà tutti senza guardare l’appartenza
politica. Guardate com’è cambiata la sicurezza da quando governiamo:
niente più check point, niente miliziani col volto coperto. Nei primi 15
giorni di giugno ci sono stati 15 omicidi tra clan, nelle ultime due
settimane appena tre. La sicurezza è la base dello sviluppo economico,
ma non ci sarà mai sicurezza né sviluppo sotto l’occupazione».
Le strade sono sicure ma sembra che stia per esplodere una nuova
guerra tra Hamas e il clan Dormush, quello che ha rapito il reporter
della Bbc.
«Non abbiamo problemi con la famiglia Dormush ma con le persone accusate
di aver rapito Johnston. Conduciamo negoziati da 3 mesi, ufficialmente e
sotto banco. Inutile: non mollano e ci tengono tutti in ostaggio. Ma noi
abbiamo il diritto di arrestarli. Non si tratta di sequestri: facciamo
il nostro lavoro e non smetteremo finchè non avremo finito».
Siete pronti a usare la forza?
«Preferiramo la via del dialogo ma tutte le strade sono aperte».
Istaurerete a Gaza la sharia?
«Quel che è accaduto a Gaza nelle settimane scorse è il risultato di un
problema di sicurezza, non di politica. Non instaureremo alcun emirato
islamico: siamo una parte importante dello Stato palestinese».
Fine. Ismail Haniyeh si porta le mani alla bocca per dire che ha finito
di parlare, le guardie del corpo, giovanissime, barbute e vestite di
nero, lo marcano stretto. La strada ora è silenziosa.
-------------------------------------------------------------------
|