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2014
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TITOLO: GIGGI ZANAZZO – IL TEATRO

A cura di: Laura Biancini e Paola Paesano
Editore: Loffredo, 2013

Prezzo: € 35,00

 

IL TEATRO DI ZANAZZO

L’occasione è davvero ghiotta. La raccolta di scritti del Poeta romanesco presenta anche alcuni inediti. Ma vengo con ordine.
Luigi Zanazzo (Luigi Antonio Gioacchino Zanazzo, 1860 – 1911), che visse cinquantuno anni, è stato uno di quei cultori di Roma in romanesco. È stato poeta, commediografo, antropologo e bibliotecario, lavorò anche nella Biblioteca Angelica. È stato il padre fondatore della romanistica, tra i suoi allievi: Trilussa. E con una Roma che si stava trasformando, ebbe un rapporto molto vivo con il teatro contemporaneo attraverso il dialetto. Ma il suo dialetto romanesco, pur avendo una stretta continuità con il Belli, si diversifica da quest’ultimo sia per i termini morfologici, sia per quelli lessicali. Una bella, costruita e sceneggiata presentazione è stata fatta il 21 ottobre 2014 in quel Tempio splendido del Sapere Umano che risponde al nome di Biblioteca Angelica.
La presentazione, avvenuta attraverso le dotte parole di Giulio Ferroni e di Luca Serianni, parole cui ho attinto, oltre alla lettura del volume, per redigere questo articolo, si riferisce al volume: “Giggi Zanazzo, il teatro”, curato dall’abile conoscenza in materia di Laura Biancini e di Paola Paesano, stampato Da Loffredo editore. Nella presentazione del volume Marcello Teodonio afferma e a ragione, che si può dire, finalmente il teatro di Zanazzo torna alla luce. Iniziando a leggere l’interessante quanto istruttivo testo, in un primo momento, mi sono trovato in disaccordo con Claudio Giovanardi (direttore responsabile degli studi di italianistica) dichiarando la datazione del romanesco usato da Zanazzo. Ma poi, leggendo l’intero testo, mi sono dovuto ricredere e d’altra parte poco più in là, il Trifone fa accenno, nella sua storia linguistica di Roma, a proposito del cosiddetto romanesco di “terza fase”, vale a dire quello contemporaneo.
Interessante è tutto il primo capitolo “Che ne è del romanesco di Giggi Zanazzo?”, perché vengono citati studiosi come Pietro Trifone appunto e Claudio Costa che va affermando, come tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, prenda forma quel “romanesco standard”. L’intelligente raccolta del Teatro di Giggi Zanazzo, comprende diversi interventi pieni di vocaboli davvero spassosi e tipici di un romanesco d’allora e per certi versi anche di oggi. Mi riferisco a tutta una serie di terminologia come broccolaro “permaloso”, buvatte “fandonie”, ciancicone “sfruttatore di donne” e poi cornuto a paletta “cornuto consapevole”, puzzetta “cosa o persona di nessun valore”. E poi vari modi di dire come ma fajela “su, coraggio”, dasse er cinquanta “stringersi la mano” come dire dasse er cinque, ce vado proprio in guazzetto “vado in sollucchero”.
Laura Biancini ci introduce al Teatro di Zanazzo, partendo dall’idea del teatro a gestione pubblica per arrivare, all’indomani dell’unità e di Roma Capitale, attraverso la storia di quegli avvenimenti per mezzo di tre iniziative: il Teatro Drammatico Nazionale, la Casa di Goldoni e la Drammatica Compagnia di Roma. Arrivando a Zanazzo e scrivendo della seconda operetta “Pippetto ha fatto sega”, la Biancini ripropone alcune fasi di dialogo dell’interrogazione a scuola dove Pippetto risponde a quel Desiderio che gli dice: “Non la sapete”, “La sone, la sone”. Mi ha subito riportato all’attore Enrico Montesano che usa questo tipo di linguaggio, da perfetto romano, in molti interventi scenici. Ma vado oltre. E quest’oltre riguarda proprio l’affermazione della Biancini, secondo la quale Zanazzo opera una vera e propria riforma, in senso moderno, del teatro in dialetto. E l’eredità con il passato, alludo chiaramente al Belli, Zanazzo riuscirà facilmente a superarla, come afferma Vittorio Clemente, attraverso la letteratura in dialetto conservando l’identità della cultura cui quel dialetto appartiene. Interessante è la sottolineatura che la Biancini fa sui personaggi femminili nel teatro di Zanazzo.
Ognuno di voi nel leggere questo prezioso testo potrà trovare quelle notazioni, quei riferimenti, quelle considerazioni che vanno al di là della mera cura sull’autore. Ecco perché poi sono importanti i libri. E questo libro lo è ancora di più. Non e solo, infatti come spera alla fine la Biancini, per contribuire e restituire a Giggi Zanazzo quella attenzione che da sempre avrebbe meritato. È molto di più come testimoniano le sicure e stuzzicanti parole dell’altra curatrice Paola Paesano.
Fin dall’inizio, la Paesano, ci introduce in un proprio archivio storico e sentimentale di tipi umani, luoghi, oggetti, mestieri che hanno rappresentato la situazione sociale romana degli ultimi due decenni dell’ottocento e del primo decennio del Novecento. E l’invito, che fa a tutti noi che la leggiamo, è quello della qualità e della godibilità dei manoscritti teatrali di Zanazzo. La giustezza della critica che Paola Paesano fa sull’intervento di Anton Giulio Bragaglia, nella sua Storia del Teatro popolare romano, sull’eventuale trovata pubblicitaria di Zanazzo alla maschera di Rugantino, è palese.
Cito l’interessante notazione della Paesano: “Ora, a parte la velenosità di questa asserzione (…) nonostante faccia di Rugantino una bandiera della romanità, non lo utilizzi poi drammaturgicamente, è cosa che va sottolineata”. Anche nel testo della Paesano compaiono quei termini spassosi come “ciovile”, “palco osceno”, “bruttiferio” (putiferio), “il brandolo di questa matassa aruffianata”, “lupus est in fabrica”, “animali [annali] dell’arte”, tornano alla memoria le battute di un Marcello Marchesi o di un Ennio Flaiano, fino allo sfondone del “a ogni pier sospinto”, con l’arguto ricordo della Paesano, usato da un ministro della Pubblica Istruzione dei nostri ultimi anni.
Nella fase finale della sua Vita, viene spiegato nel volume, Zanazzo passerà dall’ambiente del mondo popolare a quello piccolo borghese attraverso l’immagine del divertito burattinaio. Paola Paesano distingue tre tipi di testi: “bozzetto popolare”, “commedia con esiti farseschi”, “ambiente piccolo borghese”. Prevale comunque l’orizzonte bozzettistico con una grande capacità di manipolazione delle voci attraverso il così detto concertato romanesco. È sempre viva in Zanazzo la comicità del non sapere, come in “La guida monaci”.
È un teatro dai molti riferimenti del quotidiano e delle sue tradizioni del popolo di Roma, registrando appena in tempo, dalla viva bocca degli anziani, prima che andassero definitivamente perdute. Tradizioni come i mestieri: il carbonaio, la lavandaia, i negozianti di vario tipo, le situazioni tipiche tradizionali. Il tutto condito attraverso le curiosità di vita teatrale del teatro dentro il teatro. Le curatrici sono molto attente, riporto quanto sentito il giorno della presentazione, nel sottolineare bene l’implicita trasformazione su cosa sta avvenendo attraverso la presenza di personaggi dell’ambiente papale. Laura Biancini e Paola Paesano non aderiscono a quella che viene considerata la sindrome dello pseudo Stendhal, testimonianza questa di un equilibrio delle curatrici da apprezzare. La Roma di Zanazzo è in pieno sviluppo nella sua espansione come ne “la Socera” che parla dei quartieri come di una realtà nuova. E accanto all’interesse sociologico c’è quello politico.
La presentazione del volume è avvenuta grazie anche all’emozionante lettura scenica di Claudia Crisafio, Anna Lisa Di Nola, Stefano Messina che hanno interpretato (a mio avviso) alla perfezione alcuni brani del teatro del poeta romanesco. Come ad esempio nella scenetta dar vero “Na dichiarazione d’amore pe’ la regola” divertentissimo dialogo tra Clementina e Cencio.
A Roma nel quartiere di Trastevere c’è una via intitolata a sua memoria. Sulla parete della sua casa natale, a via dei Delfini c’è pure un busto bronzeo di Amleto Cataldi del 1929. Sono pure riportati alcuni versi del poeta: “Da la loggetta / di casa mia m’ affaccio / e guardo in giù / vedo la strada / vedo la piazzetta”. E da la loggetta di casa sua, aggiungo io, mi permetto di ringraziare Zanazzo, che attraverso la cura intelligente di Laura Biancini e di Paola Paesano, mi ha arricchito non solo la mente ma anche lo spirito.

Felice lettura a voi tutti.

Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre