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Libri


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Sebastiano Ricci – Rivali ed eredi
Opere del Settecento della Fondazione Cariverona


Musei Civici, Palazzo Fulcis
Belluno
A cura di Denis Ton
Comune di Belluno e Fondazione Cariverona
Catalogo: Cierre edizioni
Costo: €14

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Rivali ed eredi

È del 2017 l’apertura del Palazzo Fulcis a Belluno. Nei grandi spazi settecenteschi del Palazzo, viene ospitato il museo civico. Uno spazio che per l’occasione ha messo in mostra il ciclo dipinto da Sebastiano Ricci (1659 – 1734) e da suo nipote Marco (1676 – 1730). Un interessante confronto tra il pittore bellunese e i suoi contemporanei tra allievi e veri e propri rivali. Alcune opere che accompagnano il percorso della mostra provengono dalla Fondazione Cariverona.

Si parte da Andrea Celesti (1637 – 1713) di Venezia, cui Sebastiano guardò con estremo interesse attraverso la sua Adorazione dei pastori. Opposto al Celesti è presente Antonio Bellucci (1654 – 1726) a cavallo tra Sei e Settecento veneziano. Nell’ambito della corrente di gusto del Bellucci, molto richiesto era Giovan Gioseffo Dal Sole (1654 – 1719) di Bologna. Mero virtuosismo, nella sua Maddalena penitente, sia nell’incarnato della santa e nella cascata dorata della bionda capigliatura. Sebastiano Ricci potrebbe, a detta di alcuni, essere stato nella bottega del Gioseffo, ma non appaiono evidenti conseguenze di questa esperienza. Gli spunti proposti dal Bellucci vengono declinati da un altro maestro: Jacopo Amigoni (1682 – 1752), Napoli?. Artista viaggiatore come anche Giovanni Antonio Pellegrini (1675 – 1741) di Venezia. Amigoni proietterà tutto il suo interesse nella creazione di effetti simili al pastello, complice l’atmosfera di una sfolgorante luminosità, che tralascierà i contorni della figura. Le pennellate appaiono indistinguibili, a differenza del Ricci e del Pellegrini. I soggetti dai tratti indeterminati vengono proiettati nella dimensione del sogno e della fiaba. Creature addormentate come Veneri, pastori, eroi del mito, nell’abbandono del sonno, quasi di sospensione, predisposti per l’amore.

Amigoni è stato, tra i pittori veneziani, uno dei principali esponenti di una linea di gusto rococò. Capofila del così detto ‘rococò patetico’ fu Nicola Grassi (1682 – 1748), altro interprete che dovette molto a Sebastiano Ricci, ne sono testimonianza le lumeggiature cangianti, le silhouettes taglienti dei personaggi raffigurati nell’opera di soggetto biblico: ‘Giacobbe divide il gregge di Labano’. Nel dipinto, infatti, sono proprio le figure femminili (le mogli di Giacobbe, Rachele e Lia) ad introdurre una nota di grazia prettamente settecentesca. Si può pensare che, con ogni probabilità, il dipinto non fu concepito per fare da modello di un progetto di più grandi dimensioni, ma più semplicemente come piccola opera. Invenzioni, queste, che potevano essere oggetto di repliche di diversa scala e dimensioni, le ‘repliche da modello’. Altro interprete che fece tesoro della lezione del Ricci, allievo di Nicola Grassi è stato Francesco Fontebasso (1707 – 1769). Nel suo ‘Convito di Antonio e Cleopatra’ sono evidenti i riferimenti al Ricci, non solo per la libertà della stesura cromatica nelle vesti, i gioielli, il vasellame, ma anche per quella ambientazione ispirata alle famose ‘Cene’ di Paolo Veronese. La curiosità di Fontebasso lo porterà ad esplorare quello che si realizzava in quegli anni. Approderà così al genere delle ‘Teste di carattere’ o ‘di fantasia’. Immagini a mezzo busto di personaggi tratti dalla vita quotidiana.
Lo stesso Ricci realizzerà le teste, per quel gusto collezionistico che si distaccava dai dipinti di mitologia e storia antica. Dei vari pittori interessati a questo tema fu senza dubbio Giuseppe Nogari (1699 – 1763) che assunse una particolarissima maniera ‘tenera, pastosa, vaga e naturale’. Seppe coniugare spunti che provenivano sia dal Piazzetta (molto vicino ai pastelli di Rosalba Carriera) sia dal Ricci.

Nell’ambito delle teste di carattere un altro artista fu Pietro Antonio Rotari (1707 – 1762), che si orientò sia sulla pittura religiosa, sia nelle mezze figure di ‘espressione’ ottenendo grande successo a Vienna, a Dresda e a Pietroburgo. Nei suoi volti c’è la cultura illuminista settecentesca, gli stessi volti sembrano che interroghino il visitatore, a volte sembrano attratti da qualcosa che accade al di fuori della scena. Una resa mimetica molto precisa dalla stesura pittorica accurata. Rotari è molto attento alla luce e studia l’illuminazione della scena, mostrando in questo, di aver fatto tesoro, di quella protagonista della storia del pastello settecentesco: Rosalba Carriera.
Altro aspetto degli artisti bellunesi è stato senza dubbio il paesaggio. Argomento, questo, che prende spunto da un personaggio particolarmente bizzarro della pittura tra Sei e Settecento: Alessandro Magnasco (Genova, 1667 – 1749). L’ostentazione della materia, da parte del Magnasco, avviene attraverso apparizioni fantasmatiche per mezzo di pennellate spezzate e svirgolate, cariche di colore come ben scrive il Conservatore dei Musei Civici di Belluno.
Questa libertà pittorica avrà influenzato, indubbiamente Sebastiano Ricci, là dove trae ispirazione, per determinati motivi dei suoi soggetti, nei personaggi trasformati in modo beffardo, demoni e satiri, monaci dall’aura stregonesca dei sabba.

Altre personalità di spicco possono aver influito nella concezione e stesura del paesaggio in Sebastiano. Si veda ad esempio Anton Francesco Peruzzini (1643/46 – 1724). Le opere del Magnasco e del Peruzzini aiutarono moltissimo i primi approcci alla pittura del nipote di Sebastiano, Marco Ricci. Quest’ultimo infatti, condurrà il paesaggio nei primi decenni del Settecento, in un’atmosfera libera, aperta nei confronti della natura con ombre trasparenti, con un sole in un cielo limpido. Senza l’apporto di Marco, sulla tematica del paesaggio, non avrebbe possibilità di essere compreso, un altro grande esponente come Giuseppe Zais (1709 - 1781). Non è solo pittura da cavalletto, quella di Zais, ma anche pittura, per interventi decorativi, come nel Palazzo Mussato di Padova o per Villa Pisani di Stra.

Nella cerchia dei maestri bellunesi, spicca anche la personalità di Antonio Diziani (1737 – 1797). Pittura più rozza, quella del Diziani, rispetto allo Zais, con una pennellata frammentata, sostenuta da una certa ‘violenza cromatica’. Tutti questi artisti non furono alieni da un confronto nei loro rispettivi generi pittorici con i due Ricci (Sebastiano e Marco), che dominavano la pittura veneta della prima metà del Settecento. Senza alcun dubbio, innovatori del colore con un occhio attento al disegno, praticamente sia rivali che eredi, capaci di cambiare le sorti della pittura veneta italiana ed europea.

Interessante nota per tutti voi.

Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre