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Libri


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 L' Italia dei movimenti. Politica e società nella prima Repubblica

Marica Tolomelli

Editore Carocci (collana Quality paperbacks), 2015, 256 p.

Prezzo: € 17,00

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Marica Tolomelli – L'Italia dei movimenti

Scrivere di movimenti oggi, quando si celebra l'apoteosi dell'atomizzazione e dell'egoismo sociale e al concetto di “masse” si sostituisce sempre più spesso quello di “folle”, può sembrare a primo avviso uno sforzo, se non inutile, di scarso interesse, e comunque contro-corrente. Eppure, mai come nell'epoca contemporanea a noi più vicina, i movimenti collettivi hanno avuto una funzione di caratterizzazione sociale, storica, politica del nostro vivere. E, pur nell'ubriacatura individualista, arrivista, rampantista delle “democrazie senza democrazia”, la storia recentissima del nostro Paese è ancora densa di esperienze di critica e mobilitazione sociale collettiva.

Quella offerta da Marica Tolomelli è quindi una ricostruzione dei movimenti sociali in Italia che cerca di riannodare un filo di consequenzialità storica nel periodo che va dagli anni Cinquanta agli Ottanta, con accenti e problematizzazioni (non solo storiografiche) che la rendono utilissima anche ai fini della comprensione della situazione attuale. Essa ci propone un affresco critico che può permetterci di conoscere la storia repubblicana dell'azione sociale collettiva, ricostruendo (attraverso un metodo in parte cronologico e in parte tematico) non solo le origini e lo sviluppo dei movimenti, le trasformazioni sul piano delle strategie e degli strumenti di lotta e di comunicazione, la nascita di e l'influenza di “nuovi” (almeno per l'Italia) movimenti, come quello femminista, ma anche i rapporti (a volte sinergici, spesso conflittuali, sicuramente dialettici) con i partiti e le strutture istituzionali della Repubblica.

Un modo fruttuoso ed equilibrato di evitare quelle interpretazioni assolutistiche che negano qualsiasi funzione storica da parte dei partiti della cosiddetta “Prima Repubblica” o che, al contrario, illustrano la storia italiana della seconda metà del secolo scorso come storia politico-istituzionale.

Oggetto della ricerca è, scrive l'autrice, «offrire una lettura dei movimenti collettivi in età repubblicana che esca dal paradigma delimitante della “stagione dei movimenti” per giungere a sviluppare una riflessione di più ampio respiro sui processi di sviluppo dell'attività democratica entro la cornice istituzionale dell'età repubblicana». La tesi è che l'evoluzione della democrazia novecentesca italiana sia sia basata sostanzialmente «su solide basi istituzionali, ma costantemente alimentata, per essere mantenuta in vita, dall'attività democratica di individui, gruppi, associazioni, operanti anche al di fuori  dell'arena politico-istituzionale». L'opera di Tolomelli si muove quindi nel solco di una concezione che vede la democrazia come un fragile sistema di pesi e contrappesi fra istituzioni e società civile, un sistema nel quale l'organizzazione sociale autonoma cresce e trova un suo ruolo in un contesto caratterizzato da un ordine politico-istituzionale orientato su principi democratici.

Il libro si struttura in due parti. La prima (capitoli 1-3) illustra la nascita e lo sviluppo dei quattro filoni principali in cui verosimilmente è possibile suddividere l'universo delle mobilitazioni sociali post-belliche in Italia (almeno fino ai primi anni '70): dal movimento pacifista della marcia “Perugia-Assisi” a quello terzomondista solidale con le lotte anti-colonialiste e di liberazione nazionale (Algeria, Cuba, Vietnam, ecc.); dal movimento studentesco  del '68 a quello operaio del '69.  In questa ricostruzione, vengono analizzati in modo esteso alcuni aspetti molti importanti: il ruolo iniziale avuto dai partiti (soprattutto il PCI, ma anche, su obiettivi e contenuti completamente diversi ovviamente, anche la DC) come organizzatori di una nuova “partecipazione sociale”; l'influenza dei movimenti pacifisti e antinucleari internazionali, segnatamente quello britannico, così come quello dei processi di de-colonizzazione nel Sud del pianeta; l'importanza fondante delle idee della “nuova sinistra” che scaturivano dalla crisi dello stalinismo in URSS e in generale in tutta Europa; l'antiautoritarismo, l'antimperialismo e l'anticapitalismo come terreno non solo di crescita politica e intellettuale del movimento studentesco, ma anche di convergenza e, sovente, di saldatura con l'altro grande soggetto di fine anni sessanta, il movimento operaio. Fino alla impasse politica di fine anni Sessanta, all'inaugurazione di una strategia golpista e stragista di una parte del potere politico che in questo modo voleva rispondere alle sempre più forti pressioni della società civile. Una violenza che portò settori non maggioritari, ma sicuramente cospicui del movimento rivoluzionario che era cresciuto alla sinistra del PCI.

La seconda parte è suddivisa in due capitoli tematici: il primo ha per oggetto quella che l’autrice definisce la “cittadinanza di genere”, ossia l'ingresso del movimento femminista nella dialettica politico-sociale del nostro Paese. Dai suoi presupposti teorici, alla volontà delle donne impegnate nel movimento di ripensare sé stesse e il loro ruolo nella società, così come l'immagine che la società stessa (declinata al maschile) dava di loro. E poi ancora le mobilitazioni, le strategie comunicative profondamente nuove e che avrebbero influenzato successivamente non solo gli altri movimenti, ma la cultura e la mentalità collettiva in generale. E infine i terreni dell'azione femminista, dal lavoro alla famiglia, dalla sessualità alla maternità e all'aborto. Il secondo capitolo pone invece un nodo interpretativo molto importante: già dal titolo (“Stagione dei movimenti” o pratiche di cittadinanza?) Tolomelli sostiene la tesi che i partiti di massa (DC, PCI, PSI) furono i principali protagonisti dei processi di rinnovamento della struttura e della mentalità sociale in Italia. Ciò non significa che nella democratizzazione dell'Italia post-fascista sia avvenuta in modo lineare o calato dall'alto, come i frequenti momenti di crisi degli anni Sessanta e Settanta hanno testimoniato. Quello dei movimenti sociali è stato, quindi, secondo l'autrice, un ruolo fondamentale di proposizione e di pressione politica, dovuto anche al fatto che la maggior parte degli uomini e delle donne che vi hanno partecipato, erano in qualche modo comunque legati alla vita istituzionale del Paese. La tendenza alla delegittimazione delle istituzioni, molto spesso praticata in forma violenta, fu quindi estremamente minoritaria (risulta quindi coerente all'impianto interpretativo, anche se indubbiamente colpisce, l'assenza di qualsiasi riferimento al Movimento del '77, ed è questo forse l'unico rilievo critico che si può muovere all'opera), sebbene essa (contestazione violenta, fino alle sue manifestazioni armate) venga ritenuta la principale causa delle delegittimazione dell'azione sociale collettiva in sé e della fuga verso le dimensioni individuali e del privato.

Le conclusioni, quindi, aprono (e non chiudono, per volontà dell'autrice) sicuramente un dibattito che probabilmente finora non si è sviluppato abbastanza. Tuttavia la narrazione proposta da Tolomelli parte da una rigorosa ricostruzione e da un approccio non ideologizzato, qualità che spesso su questi temi sono pressoché assenti in una pubblicistica e in una storiografia sottomesse ad esigenze elettoralistiche permanenti. Con questa narrazione, pertanto, è giusto, necessario, utile, fare i conti.

Alberto Pantaloni