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oltre l'arte n. 0
settembre - dicembre 2000
Sommario - Cinema
bordline contemporanea beni culturali




SCHEDA TECNICA

Sceneggiatura e Regia: Ermanno Olmi
Fotografia: Fabio Olmi
Scenografia: Luigi Silvio Marchione
Costumi: Francesca Sartori
Musica: Fabio Vacchi
Montaggio: Paolo Cottignola
Prodotto da: Alessandro Calosci
Produzione: Cinema 11 Undici, Rai Cinema, StudioCanal, Taurusprodktion.
Nazione: Italia/Francia/Germania
Distribuzione: Mikado
Anno: 2000
(ITALIA, 2001)
Durata: 105'
Distribuzione cinematografica: Mikado

PERSONAGGI E INTERPRETI
Joanni de Medici: Hristo Zivkov
Federico Gonzaga: Sergio Grammatico
Maria de Medici: Dessy Tenekedjieva
Nobildonna: Sandra Ceccarelli









IL MESTIERE DELLE ARMI

Nella sua spassosa e ormai introvabile Storia della stupidità militare da Crasso al Vietnam, L. H. Fay tracciava anche l'identikit del perdente recidivo: non ultimo, il bravo soldato che non riesce a rendersi conto dell'efficacia delle nuove armi. Quest'ultimo è proprio il caso di Giovanni dalle Bande Nere visto da Ermanno Olmi. Una visione ben diversa dall'interpretazione di Luis Trenker ne "I condottieri", quello strano film del 1937 dove la cupa masnada dei soldati di ventura guidati dal figlio di Caterina Sforza rimandava senza neanche troppe metafore alla memoria della Marcia su Roma e del primo Fascismo, complice anche una fotografia in bianconero molto contrastata. Bande nere, molto nere…

E' destino invece che nel cinema d'oggi chi fa la guerra sembra farla sempre per caso e a malincuore, il che - trasposto in altre epoche - rasenta il falso storico. Anche nell'ultimo capolavoro di Ermanno Omi aleggia sempre e ovunque un senso di morte, d'impotenza, e tutto si svolge in un'atmosfera depressiva: ci si insegue e si combatte nell'inverno delle nebbie padane, di giorno e di notte, a piedi e a cavallo, coperti di ferro e stanchi in partenza.

Ma andiamo per ordine. E' il novembre del 1526. Giovanni de' Medici da le Bande Nere, capitano al soldo di Clemente VII, "giovane di ventinove anni e di animo ferocissimo" nelle parole del Guicciardini, a soli 28 anni ha già fama di grande condottiero ed è esperto nell'arte della guerra. Suo compito è contrastare i lanzichenecchi, duri mercenari tedeschi al soldo di re Carlo V, calati in Italia al comando del generale Zorzo Frundsberg. Una volta valicato l'Appennino, una volta lungo il Po i lanzi saranno aiutati in segreto dal ferrarese duca Alfonso d'Este, che offrirà quattro "falconetti affustati su ruote", ovvero nuovissime bombarde da palla, rifiutate qualche ora prima al de' Medici.

Quest'ultimo bracca ed intercetta i lanzi, ma sottovaluta l'efficacia delle nuove armi, il che segna la fine del suo esercito e prepara la sua morte. Fra i ruderi di una fornace abbandonata la guarnigione del Frundsberg si fa trovare schierata in attesa dell'attacco dei soldati dell'esercito pontificio. Al caracollo degli armigeri e degli archibugieri si risponde con una selva di picche e il fuoco dell'artiglieria. Un fortissimo botto sovrasta il fracasso del metallo delle armature e delle voci dei soldati all'attacco. La sorpresa blocca il galoppo del Capitano italiano e il colpo d'un falconetto lo colpisce alla gamba. Le cure immediate nella Casa di Loyso Gonzaga non riusciranno a salvarlo: la lenta agonia del giovane Giovanni durerà quattro giorni. Morirà il 30 novembre del 1526, lasciando una giovane moglie con il figlio, Cosimo.

Giovanni de' Medici chiude in fondo un'epoca: umano pur nella sua durezza - governare i soldati all'epoca non era facile - è un eroe, bello e altero, incurante della morte, determinato nel "mestiere" di una guerra che intende portare al nemico di giorno e di notte, con ogni condizione di clima. All'epoca di Giovanni dalle Bande Nere, cavaliere della nobile arte della guerra assoldato da papa Clemente VII, combattere è un lavoro come gli altri, una vocazione rispettabile. Dice Giovanni in punto di morte al sacerdote che lo confessa: "Ho vissuto da uomo d'armi e ho fatto tutto quanto il mio mestiere mi portava a fare; con lo stesso spirito, se avessi vestito l'abito che porti tu, avrei servito Dio" I codici della guerra richiedono il sacrificio: "Voglio esaltare con la mia morte liberamente accettata la sacra legge della guerra". E' facile attribuire al sacrificio di Giovanni il valore di una metafora cristologica, cui allude chiaramente l'episodio del crocifisso ligneo che i soldati di Giovanni intenderebbero bruciare per scaldarsi, se non fossero ripresi con violenza dal capitano. Destino ineluttabile di chi compie il mestiere delle armi è dunque una morte possibilmente onorevole. Ma non può esserci onore nell'epoca delle armi da fuoco: l'aveva già detto Kubrick in Orizzonti di gloria.

Se Giovanni de' Medici è umano, i lanzichenecchi sono invece macchine da guerra. Il Frundsberg non lascia mai trasparire un'emozione e i suoi uomini, disciplinati e inquadrati al rullo dei tamburi in formazioni ora aperte, ora chiuse a falange, con gli elmi calati fino al collo e le picche puntate in selva contro il nemico, preconizzano piuttosto la Wehrmacht, che quattro secoli dopo avrebbe ripercorso le stesse strade con la stessa micidiale efficienza. Sono il volto industriale della guerra, rappresentano il futuro. Il mestiere delle armi è un film del nostro tempo che racconta un tempo altro, nell'esercizio del pensiero critico sulla materia storica rivissuta attraverso lo sguardo del regista. Il Cinquecento è secondo Olmi "momento catartico fondamentale": le guerre cambiano il mondo, ridisegnano i confini, falcidiano generazioni, selezionano gli eroi; in questo secolo si trasformano le guerre stesse, con la diffusione del cannone. La ricostruzione al dettaglio delle tecniche di offesa è la base sui cui poggia la struttura di un immaginario imbevuto di morte; la tecnologia mostrata come strumento per uccidere è il prodotto di un pensiero che abbraccia Heidegger, Lacan e Kubrick

Infine, un'analisi formale. Questo film rifiuta lo standard produttivo americano e dice molto con pochi mezzi. Ermanno Olmi, interprete isolato di una tradizione cinematografica improntata al realismo e non poco influenzata dal genere documentario, narra per scene, secondo una concezione del racconto storico depurato dei suoi aspetti più deteriori: nessun sottile piacere per le "geometrie della battaglia"; piuttosto, un'interpretazione degli oggetti che richiama il formalismo dell' Aleksandr Nevskij di Ejzenstein, con le lance che strutturano la composizione in linee verticali/orizzontali, e gli elmi delle armature come maschere di morte. Il paesaggio e gli interni richiamano il passato dell'Olmi documentarista, capace di descrivere il mondo attraverso un'attenta manipolazione della luce, cui si accompagna una strategia narrativa ugualmente accorta nel procedere ad un ritmo di stacchi ponderati, esatti.

Marco Pasquali