ex-@rt magazine 
Beni Culturali - Bordline
Beni Culturali - Mostre
Sommario







VENTI DI GUERRA, SENZA CONFINI

"
IL TERRORISMO NON E' UNA QUESTIONE GEOGRAFICA O RELIGIOSA"

Quanto è successo rende persino superato il nome stesso di questa rubrica: se c'era una linea di confine, è stata superata. Tutto va ora reimpostato a partire da nuove idee e gli analisti si stanno finalmente dando da fare.

Superato lo shock, ci si è chiesti come è stato possibile organizzare un'azione di quel livello senza dare nell'occhio. La risposta è stata quasi univoca e cito come esemplare l'articolo di Clifford Beal della società di studi militari Jane's (
www.janes.com), edito la sera stessa dell'11 settembre: negli ultimi dieci anni gli Stati Uniti hanno investito miliardi nella tecnologia, ma poco nella comune intelligenza umana (c.d. HUMINT). Lo sviluppo di satelliti-spia, di sistemi di controllo elettronico delle comunicazioni, di analisi automatica delle informazioni ha fatto trascurare quella rete di analisti, interpreti e traduttori, spie ed infiltrati che invece era stata l'ossatura della sicurezza durante la guerra fredda. Il sistema Echelon può anche registrare milioni di telefonate ed e-mail, ma se manca chi dalla massa di informazioni deve sceverare i dati utili, il sistema è monco. Chi poi comunica solo a voce o con corrieri o in dialetto sfugge alla caccia elettronica.

Ormai è guerra, ma contro chi? Dire "terrorismo internazionale" è generico, né è plausibile che Bin Laden abbia organizzato tutto da solo. La priorità è quindi avere sempre informazioni sicure e complete, ora e in futuro. Ma vista la dispersione assoluta del nemico e la natura asimmetrica del conflitto, mostrare la flotta o bombardare non si sa bene chi e che cosa non serve a molto. Può servire al massimo a fare pressioni politiche, mentre sul terreno si può indovinare una prossima età d'oro degli incursori. Ma se non è chiaro fin dall'inizio l'obiettivo e si usa il termine "crociata" , si parte male. Nel discorso del 20 settembre il presidente Bush ha corretto il tiro e distinto nettamente l'Islam dai criminali.

E qui viene il nodo: il confronto con il fondamentalismo islamico. Va rifiutata la rozza equazione che vede l'assalto a New York come "giusta" punizione per i maltrattamenti subiti dai palestinesi e dagli iracheni, ma è inaccettabile anche la rozza equazione che vede in ogni musulmano un terrorista potenziale e nell'Islam la religione dell'odio. Ma andiamo per ordine.

Quanto è avvenuto l'11 settembre 2001 non è un atto terroristico, ma una vera operazione di guerra: tattiche non convenzionali sono state usate in una scala e con un livello organizzativo tale da superare il concetto stesso di azione terroristica. La sproporzione tra causa ed effetto è infatti tale da rendere superata l'analisi classica del terrorismo internazionale. Lo ha capito Arafat, che subito ha sconfessato quanto aveva usato per anni come mezzo di pressione politica: giustificare il terrorismo è ormai un suicidio politico. Gli Stati Uniti non possono incassare una provocazione simile senza reagire per ristabilire, prima ancora della legalità e della sicurezza, la futura possibilità di vivere.

La seconda questione riguarda l'Islam. Gli imam di mezzo mondo stanno cercando di convincerci che l'Islam non è una religione di guerra, che i fanatici fondamentalisti non sono veri musulmani. Possiamo crederci: un uomo pio non uccide nessuno né alcuna religione esalta l'omicidio. Consigliamo una visita al sito islamico italiano (
www.islamitalia.it). Solo che, almeno per quanto se ne sa ora, i jahid provengono comunque dall'interno della cultura religiosa islamica, sia pur distorta dall'insegnamento delle scuole coraniche fondamentaliste e dalla povertà e frustrazione in cui sono sprofondate alcune masse arabe. Sia chiaro che l'obiettivo della Jihad islamica è politico e non religioso, ma solo la tendenza ad fondere religione e politica rende possibile una simile miscela esplosiva. In Occidente abbiamo da tempo imparato a separare la religione dallo Stato. L'identità dell'Occidente consiste proprio nel rifiuto di divinizzare il potere politico, che diverrebbe altrimenti il potere di un'élite di iniziati depositari della verità sulla massa dei non iniziati. E' anche bene sapere che gli stati islamici non hanno mai firmato la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, sulla base di motivazioni giuridiche che rendono impossibile l'eguaglianza fra un seguace dell'Islam e chi non lo è, il che di per sé comporta un'idea di superiorità sui "diversi" perlomeno discutibile. Il nazismo è nato nell'Occidente, si dirà. Ma col nazismo i conti li abbiamo fatti. Sull'Islam si hanno senza dubbio idee superficiali e pregiudizi di ogni tipo, ma anche dall'altra sponda si parte male. E sarà forse un caso, ma in poche parti del mondo l'Islam ha saputo creare una democrazia.

Il fondamentalismo islamico si è sviluppato comunque all'interno dell'Islam, ed è quindi solo dall'interno dell'Islam che deve partire lo sviluppo degli anticorpi. Sarà un processo lungo e difficile, ma è l'unico possibile. Quello che sfugge ai più è che i primi ad avere interesse a reagire duramente - a parte naturalmente gli Americani - sono proprio alcuni stati islamici. Realisticamente, il terrorismo internazionale e il fondamentalismo islamico sono più pericolosi per gli stati islamici autoritari (come il Pakistan o l'Iraq o l'Algeria) che non per le democrazie occidentali. Se da noi il rigetto è mai come ora deciso e totale, le masse impoverite di alcuni paesi islamici sono attratte proprio da quelle che noi riteniamo invece bande di psicopatici. Ma se il governo del Pakistan - che pure aveva appoggiato i Talebani contro i sovietici - dovesse essere rovesciato dal basso, nelle mani sbagliate finirebbero pure le armi nucleari. Quindi a maggior ragione nel conflitto è indispensabile proprio la collaborazione degli stati islamici. La guerra è fatta anche di alleanze, e di guerra si tratta.

Marco Pasquali