GIANLEONARDO LATINI

Note Critiche

 

"... Sono geometrie anticlassiche e pacatamente irrazionali. Sono la dolcezza dell'impasto cromatico e del crudo distacco dal reale. In ogni caso sarà sempre pittura di "microsistemi" che celerà agli altri il suo senso più intimo di under-drama, little-drama o, meglio ancora, di soft-drama: ars est celare ... !
Appare evidente come Latini sia accorto e teso nel formulare l'enunciato di una mimetica falsamente apparente perfino alla sua stessa immagine. Di un'idea dell'arte, cioè, capace di rituffare al mare ogni ipotesi di pura visibilità o di semplice visibilità... proprio perché senza più visibilità. ..."

Alessandro Masi


"... Le realizzazioni di Gianleonardo Latini appartengono invece ad una sorta di amplificazione visiva del pentagramma: linee orizzontali ed oblique che si ingrandiscono su fondali scuri ove sfumature di colore risaltano come un assolo di sax nel buio silenzioso di un fumoso locale. Caldi colori materici e trasparenti che negano la forma pur avendo un perimetro. Forme che vogliono oltrepassare il confine dello spazio pittorico come dilatazioni di microcosmi e di linee taglienti rivestite da velature di colore che sovrapponendosi creano quasi delle «bruciature»; mari immensi e fumosi su cui appaiono improvvisi i ricordi della mente. [....]
Note cangianti dal blu al rosso cupo passando attraverso colori terrosi, come variazioni sonore sopra un magico ritmo, esse si impongono «all'ascoltatore»."

Gabriella D’Anna


Maschere e conchiglia

Si data perlomeno dal 2003/2004 l’inizio dell’interessante ciclo di opere pittoriche di Gianleonardo Latini, del quale Maschere e conchiglia, si precisa come tassello importante tra i più recenti da lui realizzati. L’artista attraverso quest’opera e l’intera ricerca che gli si connette approfondisce l’interesse sulla luce e sulla visionarietà mentale, evocativi di percorsi labirintici e immagini surrealmente antropomorfe.

La stessa iniziativa Artisti a Palazzo, nel cui contesto l’artista propone la sua opera, risulta denotativa del ruolo nobilitante conferito alla pittura, dalla cui tradizione Latini riprende anche l’uso della tavola come supporto e la sperimentazione rinascimentale delle tecniche miste.

Tradizione, si è detto, ma anche disposizione a rileggere tutta l’arte del Novecento: Latini intarsia forme e piani luminosi ripercorrendo con spessore culturale il Surrealismo e la pittura orfica, le trasparenze di Macke e di Robert Delaunay, del quale ultimo l’occhio altro non era che una cinghia di trasmissione tra l’esterno e l’interiore.

Anche per Latini la pittura si carica di simboli nascondendo significati al di sotto dell’apparenza.

Non casualmente osservando il gioco dei piani di Maschere e conchiglia mi è venuto logico pensare a Donato Sartori, grande mascheraro la cui opera è servita a Strehler per creare i caratteri di certi suoi spettacoli, e a Ferruccio Soleri per la maschera del suo Arlecchino.

La maschera nella Commedia dell’Arte cela l’identità individua per crearne un’altra tipizzando un carattere: Arlecchino, il servo manigoldo; Balanzone, il medico bolognese.

Latini attraverso immagini scomposte in piani di luce cubofuturisti esplora da anni i recessi della mente, i meandri di cui va coniugando insieme fisicità e surrealtà della visione in equilibri instabili ed estremamente precari. Le immagini, che per un attimo ci appaiono risolte e leggibili, si disgregano subito dopo disperdendosi e parcellizzandosi in un puzzle di piani e riflessi. Latini mimetizza, e maschera, lanciando messaggi e riflessioni criptati sull’esistere. Sta a chi guarda decidere se sottrarsi richiudendosi come la conchiglia o celandosi dietro la maschera,oppure aprirsi al mondo rimanendo concretamente, e consapevolmente, con gli altri.

Ivana D’Agostino
Roma, 25 ottobre 2005


SIGNIFICATI NASCOSTI

Il cammino di Gianleonardo Latini è da sempre nell’arte per scelta giovanile, avendo percorso l’iter del Liceo Artistico e dell’Accademia di Belle Arti. Ma il campo più specificatamente pittorico è stato da lui affiancato alla prassi della teoria dell’arte, con la conseguente speculazione critica, nonché dall’esercizio creativo della lingua che è la poesia. Pittore, critico d’arte e poeta, l’oscillazione dalla speculazione astratta alla sua oggettivazione è una costante che non tende tuttavia ad assumere un andamento pendolare ma si concentra in una formula unitaria, in quadri che sono poesie ed in poesie che sono quadri.
La poesia “Nascosto rimarrà” e il dipinto, del 1998, che ha lo stesso titolo, nella loro autonoma compiutezza sembrano dettati da un identico stato d’animo. T’avvolge la notte / le stelle si confondono / tra i capelli. / Il silvano ti corteggia / nel cammino / il passo è strada, / il ciottolo lo interrompe. / Mutevoli lapislazzuli, / malia in un bosco, / tutto o niente. / Ariel, / il vento, / e scivoli via / oltre ogni linea. / L’ombra si ribella / ed ogni cosa / si interrompe. Nel dipinto, il tracciato reticolare bi/tridimensionale sembra invitare “oltre ogni linea” a seguirne il percorso, ora chiaro ora oscuro, ora “tutto o niente”, sulle tracce di quel “nascosto” che è fuori e dentro il tutto, che è fuori e dentro ciascuno e che rimarrà sempre tale. Il dipinto, cromaticamente molto ricco, è costituito da linee e volumi intrinsecamente “astratti” che tendono a suggerire immagini riconoscibili: un bosco, un’ombra, dei ciottoli, due personaggi-presenze (uno è forse il silvano che corteggia?), una caverna nella quale i due personaggi sembrano voler entrare, ed altro ancora. Ogni possibile riconoscimento, e quindi ogni possibile dialogo, è affidato alla sensibilità del fruitore, sia che osservi il dipinto sia che mediti sul testo poetico.
Ne emerge una personalità articolata e complessa che approda ad una pittura fortemente interiorizzata. Nel rincorrersi delle linee-forme, nella rarefazione della pennellata e nel sovrapporsi delle velature, la pittura rincorre un pensiero forte rielaborato sempre in sintesi poetica. Dalla forma fisica alla forma psichica: questo è il cammino di Gianleonardo Latini nella continua ricerca di dar forma al pensiero ed alle emozioni. Nei meandri del subconscio, nell’articolazione dei percorsi celebrali, nelle pieghe dei sentimenti, la linea creativa si oggettiva in labirinti inusitati. Il titolo del dipinto, talvolta d’ispirazione letteraria, ci fa da guida: “Malinconia dell’infante mascherato”, “Nella foresta delle ombre danzanti la capra cerca il pomo della discordia”, “Maschere e conchiglie”. Sono questi alcuni titoli di alcune opere.
I dipinti sono talvolta datati con due anni consecutivi. Il lungo iter esecutivo di ciascuno di essi è determinato dall’uso della stesura di uno strato preparatorio di cementite sulla base di legno, prima dell’intervento dell’olio. Delle linee, graffite sulla cementite, scandiscono la superficie della tavola, ridisegnando uno spazio personale all’interno di quello predefinito, alla ricerca di una costruzione interna all’opera, quasi l’adozione di uno schema di verso libero. Su tale base, il colore ad olio si dispiega per velature, con una tendenza verso il monocromo, dal giallo al rosso - preponderante nelle opere del 2006 -, con rari inserti di tonalità fredde. Tale preponderanza del monocromo è tipica di Latini, che iniziò con le chine, le coline e le bruciature: una esigenza di sintesi in una forma pittorica altrimenti estremamente complessa.
L’invito, che ogni dipinto sembra suggerire, è quello di porsi nella “queste”, nella ricerca dell’affinamento del proprio sé che intraprendeva il cavaliere medioevale. Andiamo dunque a scoprire “Il cuore nella tenebra” o “Il cuore dilatato da un filo di speranza”. L’importante è non farsi prendere dal panico ma andare avanti, passo dopo passo, sentiero dopo sentiero, fino alla meta, fino a quel cuore che d’improvviso sembra palpitare proprio per chi l’ha scoperto. La forma fisica che è lì nel quadro – basta trovarla – si carica di senso proprio in funzione della sua scoperta. Per metterci in questa “queste” dobbiamo superare quella miopia del cuore e della mente che non consente di “vedere” l’essenza profonda delle cose.
L’invito di Latini è dunque quello di considerare l’opera d’arte come strumento di riflessione in chiave estetica. L’arte, per lui, non è denuncia, non è documento, non è mimesi tout court ma denuncia, documento e mimesi nella dimensione estetica. Affidando ad altre formule espressive il compito della resa diretta, l’artista assegna all’arte il compito di “vedere” poeticamente. In tal senso egli si pone nel pieno della tradizione rinascimentale che dà all’arte il suo ruolo primigenio, che è efferente all’idea del “bello”, quel ruolo che oggi invece da tante parti le viene sottratto. Che tutto questo sia stato determinato o meno dalla sua speculazione critica qui è marginale, qui ci interessa rilevarlo nella pittura, che si pone come corpus unitario ed autonomo e con una cifra di immediata identificazione, come è tipico del Maestro che ha trovato e consolidato il “suo” linguaggio.

Stefania Severi
Luglio 2006


AL LIMITE CARNALE DELLA SCULTURA

Come suono e silenzio, luce ed ombra si inseguono caparbi
nei misteriosi percorsi di GIANLEONARDO LATINI.
Ed è subito storia di incontri sospesi, rimpianti,
sensuali notturni e visioni d’antichi mattini.
Ad occhi socchiusi si scoprono mondi complessi
tessuti in miliardi di note a comporre più vite
che scorrono accanto alla vita in forma bachiana di fuga.
E mentre Latini traduce in pittura il sogno dell’elfo volante
che insegue chimere, la mano si perde in vasti più aerei percorsi …
celati nel passo di un giallo che insinua opposti sospetti:
Brividi acuti dei sensi o ardite schermaglie tra forma e colore?
Crudeli percorsi mentali o palpiti lievi del cuore?
Arpeggi solari in minore o ingenui graffiti rupestri ?
L’artista sorride; sapiente maestro di gioco,
nasconde deliri di amplessi in lievi sciarade, ed offre,
tra pomi di streghe truccate da fate:
vibranti alchimie di estrema bellezza.
Se il classico giallo sull’orlo di ipnotici abissi…
si tinge di rosso. Il cielo è trafitto nel segno maschile dell’urlo
e l’occhio sedotto da enigmi.
Ma al quadro puoi chiedere tutto, responsi e carezze,
che l’opera d’arte, eterno mistero, è un gran talismano,
se pone quesiti sa anche svelare e può accompagnarti a pensare.
In cambio vuol essere amata e quando è felice comincia a parlare.
Per catturarne il linguaggio bisogna guardarla,
non solo con gli occhi.
Allora… in bagliore d’antico rubino, oltre sfere volanti,
saettano segni di fuoco, percorsi brucianti dei sensi e rimpianti…
tra verdi ed azzurri stupiti e in luce giottesca d’affresco ametista
risuonano note più acute, lontani da grandi Dormienti lunari.
E in suono di brune conchiglie ritornano echi crudeli di fiabe:
“Se oltre il piacere ricerchi certezze,
il bel cavaliere del cigno…scompare”.



Tra segno incisivo e colore, al limite carnale della scultura,
GIANLEONARDO LATINI,
lontano dal sogno di chiudere il vero nel quadro,
muove sicuro con eleganza nell’area irrequieta dell’arte moderna.
Tessendo e celando percorsi sospesi tra il giorno e la notte,
traduce chimere in visioni nel gioco concreto del fare.
E svela quel tanto che basta, con grande misura…
a regola d’arte.

(da: "Ritratti" di Sarina Aletta, 2006)


UN CUORE IN EMBRIONE NEI LABIRINTI DI GIANLEONARDO LATINI

Come terrestri morfologie fossili, pur tuttavia viventi e pulsanti, il fitto labirinto nella pittura di Gianleonardo Latini rivela segreti e misteri che conducono per vie complesse e articolate a sotterranee rivelazioni.
Sono foreste pietrificate, perimetrie di città arcaiche, tessuti cellulari, deserti di rocce, sedimenti sabbiosi corrosi da piogge e venti?
Il cammino tra le pieghe e le asprezze è quasi un cammino iniziatico, fuorviante e tenace, ma che nasconde sempre un grumo misterioso di vita: un cuore carnale, l’addensarsi di un verde, un magico emiciclo, dove nascosto tra le ocre, le terre, i tiepidi rossi e gli aranci, brilla come epicentro d’un magma in caotico divenire il nucleo, il segreto riposto, la pietra che svela l’arcano, il senso della materia vivente da cui si condensa e si dipana la ragnatela della vita.
Rocce, fossili, cellule: quale che sia la materia disomogenea che si struttura e si organizza in questa serrata pittura, essa è comunque materia viva, primordiale, è la stessa materia che aggrega rocce, piante, uomini, pianeti, stelle. C’è in questa tenace, compatta stesura che non conosce fratture e vuoti, c’è la ricerca antichissima e nuova del senso della vita, del suo nascere e divenire: germoglio, diamante o cuore che sia.
Latini dilata e comprime, seziona ed articola le sue masse vitali con lo stesso amoroso stupore della primitiva rivelazione; come le tracce indelebili lasciate dalla perduta umanità, dei graffiti rimasti nelle segrete caverne durante l’infanzia del mondo, a tramandarci il fenomeno d’un modo gioioso e crudele. Come gioiosa e crudele è la vita che esplode e serpeggia nelle nostre vene, sulla nostra pelle, che attraversa i nostri occhi, e che in eterno ci meraviglia.

Luigi M. Bruno
Settembre 2006



 






 

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